Cosa sta accadendo alle start up italiane nel 2025?

start up italiane 2025

di Alessandro Campo

“Anche un viaggio di mille miglia comincia con un solo passo” recita un detto antico. Ed è spesso il primo passo a determinare le maggiori difficoltà. È forse questo il caso delle start up italiane che – almeno da ciò che emerge dai numeri più recenti – stanno vivendo oggi una fase all’agrodolce.  Il primo semestre del 2025 si è chiuso, infatti, con alcuni evidenti segnali di resilienza alternati ad altri di prudenza (se non di cedimento) dal lato degli  investimenti e della raccolta capitali in un contesto economico globale ancora incerto. Il calo rispetto al boom del 2022 e 2023 non deve però allarmare eccessivamente: la frenata è infatti percepita dagli addetti ai lavori più come una fase di cauta attesa che come un vero e proprio crollo.

Il Venture Capital Monitor dell’Università LIUC mostra, a fronte di un incremento del numero dei round di raccolta, un calo del -9% dell’ammontare investito (poco meno di € 450 milioni) e un minore impegno dei fondi esteri. Pesa, tra l’altro, l’assenza dei c.d. “campioni nazionali” ovverosia di quei deal in grado di attirare – per impronta innovativa, qualità del management, organizzazione e potenziale di scalabilità – il contestuale interesse di più investitori professionali. I venture capitalist, italiani e stranieri, pare abbiano alzato la soglia di attenzione. Le “scommesse” su idee ancora embrionali sono diminuite, mentre l’attenzione si è spostata verso realtà con un modello di business più solido, un team esperto e metriche di crescita già validate. Il “rischio” è ancora accettato, ma con maggiore discernimento.

Innanzitutto, c’è l’idea, il prodotto? Un “nice-to-have” può non essere sufficiente. Il prodotto (o servizio) che si propone al mercato deve essere un “must-have”, quel valore unico che differenzia l’azienda dai concorrenti e che soddisfa un bisogno non ancora adeguatamente soddisfatto. Ma non basta: gli investitori tengono sempre più i fari accesi sulla qualità del team (composto da professionisti con competenze complementari, passione, resilienza, etica), sulla solidità e scalabilità di un business model dalla capacità di crescere rapidamente ampliando la forbice tra ricavi e costi, sulla capacità di adeguarsi ascoltando utenti e clienti e di modificare la rotta con correttivi economici ed efficaci, sul giusto timing di ingresso al mercato.

Nonostante la prudenza generale, alcuni settori continuano a trainare gli investimenti. La Green Economy e il Cleantech rimangono aree di grande interesse, con start up che propongono soluzioni innovative per l’efficienza energetica, l’economia circolare e le energie rinnovabili. Anche il Fintech e il Proptech continuano a registrare round di finanziamento significativi, trainati dalla digitalizzazione dei servizi finanziari e immobiliari. In crescita, anche se con volumi ancora ridotti, l’interesse per la biotecnologia e il Medtech, segnali che la ricerca scientifica e l’innovazione in campo sanitario stanno finalmente trovando un terreno fertile per la capitalizzazione.

Tuttavia, l’ecosistema soffre ancora di alcune criticità. La principale riguarda la scarsa propensione al “rischio” da parte degli investitori tradizionali (come le banche o i fondi di investimento più conservatori) e la necessità di un’azione politica più decisa per incentivare gli investimenti a lungo termine.

Il decimo report annuale dell’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano conferma la contrazione già iniziata a fine 2024 anche dal lato investimenti private: dal luglio 2024 la raccolta totale (equity, lending, etc) è stata pari a circa € 260 milioni, segnando in dodici mesi un calo del -14%. Questa flessione ha interessato, per la prima volta, quasi tutti i comparti, mentre l’anno scorso il segno meno era concentrato nel settore equity. Negli ultimi 12 mesi, tuttavia, le campagne di equity crowdfunding hanno raccolto quasi € 111 milioni, più o meno come nel periodo precedente.

La flessione nel volume di raccolta è attribuibile a diversi fattori, tra cui:

  • l’aumento dei tassi di interesse
  • l’incertezza sui mercati globali che spinge i risparmiatori verso asset più liquidi e meno rischiosi
  • l’introduzione della nuova regolamentazione ECSP (ulteriori oneri amministrativi e di compliance per i player) che ha portato a una leggera riduzione del numero complessivo di piattaforme.

Il Politecnico rileva, inoltre, alcune questioni critiche che richiedono di essere affrontate per superare questa crisi:

  • la stentata crescita di gran parte delle imprese finanziate tramite crowdfunding
  • la presenza di business plan eccessivamente ottimistici che finiscono per deludere le aspettative
  • la sostanziale assenza di un mercato secondario per gli investimenti
  • la mancata crescita del Minibond crowdfunding per le PMI, nonostante le sue preziose potenzialità e il livello di rischio medio-basso
  • la necessità di costruire maggiore fiducia nel segmento del lending, spesso privo di garanzie specifiche.

Eppure, al 30 giugno 2025 ben 42 piattaforme italiane (più una autorizzata in Spagna) erano autorizzate in base al nuovo Regolamento ECSP, con l’Italia al secondo posto in Europa per numero di portali autorizzati, dopo la Francia.

Le campagne di equity crowdfunding lanciate tra 2024 e 2025 sono state in totale 160, con una percentuale record del 30,6% di progetti di real estate. Il tasso di successo si mantiene elevato, intorno all’88%. I progetti immobiliari hanno mostrato una crescita significativa (€ 63,77 milioni, +32%), mentre quelli non immobiliari non si sono ripresi dalla sofferenza già manifestata nel periodo precedente (-19% di raccolta). Storicamente, la scelta tra lending o equity crowdfunding per il real estate vedeva privilegiato il primo rispetto al secondo, ma nell’ultimo anno l’equity sembra aver recuperato attrattività per le operazioni immobiliari.

Il taglio medio del target di raccolta per i progetti non immobiliari è stato di € 207.133, per quelli immobiliari di € 1.112.955. La prassi comune è offrire titoli senza diritto di voto sotto una certa soglia di investimento, ma cresce il numero di campagne che offrono solo quote senza diritto di voto: si tratta di strumenti determinanti per mantenere la governance, a scapito – va detto – del legittimo auspicio dei nuovi azionisti di partecipazione attiva alle decisioni strategiche.

Va detto anche che l’equity crowdfunding è sempre meno uno strumento che si può identificare con le sole start up innovative. Tra le emittenti, infatti, le start up innovative continuano a diminuire: hanno rappresentato il 28,6% negli ultimi mesi. Cresce la percentuale di PMI attive e di veicoli di investimento in business ben avviati che lanciano campagne di equity crowdfunding. La maggior parte delle emittenti opera in Lombardia e nel settore dei servizi di informazione e comunicazione. Infine, solo una piccolissima percentuale di iniziative riesce a superare i ricavi previsti nel business plan iniziale. Questo sottolinea l’importanza di inserire l’equity crowdfunding all’interno di una strategia di crescita che include altri assets più “solidi”, utilizzandolo non solo come strumento contingente di fundraising, bensì anche come strumento per ottenere nuovi clienti, fidelizzare quelli già esistenti e fare networking.

Un segnale inatteso perviene dal lending crowdfunding che registra la sua prima “mini” crisi: la raccolta totale per i prestiti alle imprese è stata di € 142 milioni negli ultimi 12 mesi. Sia i progetti non immobiliari che quelli immobiliari hanno rallentato, rispettivamente -1% e -18%, nonostante tutte le 391 campagne di lending crowdfunding lanciate si siano, comunque, concluse con successo ad un tasso di interesse medio annuo cresciuto al 10,07% nel primo semestre 2025 8elemento di attrattività per gli investitori ma di difficoltà per le imprese (la scadenza media dei prestiti è di circa 15 mesi, con rimborso quasi sempre in modalità bullet), soprattutto considerata l’incertezza attuale dei mercati a livello globale. La discesa progressiva dei tassi a partire dal 2025 dovrebbe rappresentare una spinta positiva da questo di vista.

Il governo italiano ha confermato l’impegno a sostenere l’ecosistema, ma l’impatto delle misure finora adottate è ancora oggetto di dibattito. Sul piano normativo, le ultime iniziative del governo e delle autorità di vigilanza in materia di capitali per le startup e crowdfunding hanno introdotto diverse novità significative, con l’obiettivo di rendere il settore più dinamico e attrattivo per gli investitori.

A partire dal 1° gennaio 2025, c’è stato l’aumento delle detrazioni fiscali con l’innalzamento della detrazione IRPEF per le persone fisiche che investono in start up innovative. L’incentivo, in regime “de minimis”, è passato dal 50% al 65% della somma investita. Per le persone fisiche, nel caso in cui la detrazione superi l’imposta lorda dovuta, la parte eccedente può essere convertita in un credito d’imposta da utilizzare nelle dichiarazioni future. L’incentivo si applica esclusivamente agli investimenti in start up innovative e non per le PMI innovative.

Poi è stato introdotto un nuovo credito d’imposta dell’8% per gli incubatori e gli acceleratori certificati che investono in start up innovative. Il beneficio si applica fino a un massimo di 500.000 euro annui, con l’obbligo di mantenere l’investimento per almeno tre anni. Sono arrivate anche le esenzioni per le plusvalenze derivanti da partecipazioni in start up o PMI innovative che, a determinate condizioni, sono esentate da imposte se reinvestite in altre start up o PMI innovative, a patto che le partecipazioni siano detenute per almeno tre anni.

Infine, per le start up che dimostrano una crescita significativa (ad esempio, un fatturato annuo cresciuto almeno del 20% negli ultimi due anni), è prevista la possibilità di mantenere lo status di start up innovativa per un periodo complessivo fino a 9 anni, beneficiando di ulteriori agevolazioni fiscali e di un accesso prioritario a finanziamenti agevolati.

Anche la normativa sul crowdfunding in Italia è stata più o meno allineata al regolamento europeo, con l’obiettivo di armonizzare le regole a livello continentale. Le novità principali riguardano:

  • Obblighi informativi per i fornitori di servizi: la CONSOB ha stabilito nuovi e più dettagliati obblighi informativi per i fornitori di servizi di crowdfunding (CSP). Questi obblighi, che entreranno in vigore a fine settembre 2025, richiedono ai CSP di comunicare all’autorità dati strutturati sulle offerte pubblicate e concluse, oltre a informazioni su eventuali modifiche rilevanti alle condizioni di autorizzazione.
  • Nuovo sistema per la pubblicità: a partire da settembre 2025, sarà operativo “DePub”, il nuovo sistema CONSOB per la trasmissione dei messaggi pubblicitari relativi alle campagne di crowdfunding, con l’obiettivo di garantire maggiore trasparenza e controllo.
  • Regime fiscale degli investitori: la scelta del regime alternativo di intestazione dell’investimento tramite crowdfunding è prevista solo per le persone fisiche residenti in Italia. Gli investitori residenti all’estero o le persone giuridiche dovranno optare per il regime ordinario.

In sintesi, le recenti iniziative del governo italiano mirano a rafforzare l’ecosistema delle start up attraverso un mix di incentivi fiscali più generosi e una maggiore chiarezza normativa, sia per gli investitori che per le piattaforme di crowdfunding. L’obiettivo è stimolare la crescita delle realtà più promettenti (le cosiddette “scale-up”) e semplificare il processo di investimento, rendendolo più sicuro e trasparente. Il Fondo Nazionale Innovazione (FNI) continua a svolgere un ruolo cruciale, ma la sua azione necessita di maggiore velocità e coordinamento.

In Alysiance siamo convinti che l’attuale stato di salute dell’ecosistema delle start up non abbia per nulla perso la sua forza vitale. Per alcuni progetti, la capacità di generare idee e di attrarre talenti rimane alta. La sfida per i prossimi mesi sarà quella di consolidare le realtà esistenti, di favorire una maggiore interazione tra start up, corporate e università, e di continuare a lavorare per un contesto normativo e fiscale che renda l’Italia un luogo non solo “possibile” ma “appetibile” per l’innovazione. Il grande veliero delle nuove sfide è salpato da un bel po’, serve solo maggiore vento in poppa

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