Imprese e capitale privato: così private equity e private debt stanno ridisegnando la crescita dell’ecosistema italiano

Private equity e private debt trainano le imprese italiane

Finance Team.

Pochi sono in grado di crescere da soli: solitamente, ogni grande passo è sostenuto da mani che hanno creduto in ciò che fai. Non pensate che ciò possa valere anche nel lavoro e nell’economia? In Italia è sempre più diffusa la consapevolezza degli imprenditori che per sostenere gli investimenti necessari alla crescita non sia sufficiente fare affidamento esclusivamente sul credito bancario tradizionale. Anche tra le PMI – autentico motore del sistema produttivo nazionale – si stanno affermando nuove logiche finanziarie, come il private equity e il private debt,  basate sull’incontro tra capitale privato e imprenditorialità.

Secondo i recenti dati AIFI e PwC Deals, il mercato italiano del private equity ha raggiunto nel 2024 un valore complessivo di oltre 15 mld€ di investimenti, con una crescita del +20% rispetto all’anno precedente. Nel solo terzo trimestre del 2025, le operazioni censite da Milano Finanza sono state 141 – nuovo record per il settore – di cui oltre il 25% nel segmento mid-market. Numeri che testimoniano non solo un consolidamento del mercato, ma anche una maggiore apertura culturale da parte delle imprese familiari.

Lo strumento del private equity, in particolare, è per definizione riconosciuto come “capitale paziente”. Non si limita a supportare finanziariamente le aziende in cui partecipa, ma entra nel merito della strategia industriale, rafforza la governance, innesta competenze manageriali e apre nuove porte tramite le proprie relazioni industriali e commerciali.

La recente ricerca congiunta tra Mediobanca, AIFI e PEM – riportata lo scorso 3 ottobre da BeBeez – ha quantificato questo impatto e i numeri sono sorprendenti: le aziende partecipate da fondi di private equity crescono mediamente del +25% in più rispetto alle omologhe non partecipate. Non solo, il fatturato medio sale da 101 a 163 mln€, mentre l’EBITDA raddoppia in media da 13,3 a 25,9 mln€. È l’effetto combinato di capitalizzazione, managerializzazione, network e apertura verso nuovi mercati.

In parallelo al capitale di rischio, è emerso un altro protagonista della finanza alle imprese: il private debt, una forma di finanziamento alternativo che consente alle imprese di accedere a risorse a medio-lungo termine attraverso fondi specializzati, senza ricorrere al sistema bancario. Minibond, direct lending e strumenti uni-tranche fanno parte sempre di più del lessico finanziario di tante PMI.

Secondo i dati raccolti dal Private Debt Report 2025 di BeBeez, il mercato italiano ha superato nel 2024 i 3 mld€ di nuovi flussi annui, con oltre 200 operazioni concentrate principalmente nei settori manifatturiero, food e servizi. Le strategie di crescita – spesso fondate su investimenti a supporto di patrimonializzazioni, acquisizioni, add-on o internazionalizzazione – si avvalgono sempre più di queste soluzioni alternative di debito o ibride “equity/debito”, che offrono flessibilità e tempi di erogazione più rapidi, oltre che a una maggiore percezione di affidabilità dell’azienda beneficiaria.

Nei primi sei mesi del 2025 il trend positivo degli ultimi anni non si è fermato: gli investimenti in private debt in Italia sono aumentati del +66%, raggiungendo i 2,1 mld€ nei primi sei mesi (secondo i dati elaborati da AIFI e CDP). Tuttavia, il fundraising è calato rispetto allo stesso periodo del 2024, evidenziando una certa discrepanza tra dinamismo dell’investimento e difficoltà nella raccolta. La maggior parte dei capitali raccolti proviene da enti pubblici e fondi di fondi istituzionali (42%), seguiti da investitori privati, mentre i principali strumenti utilizzati sono rappresentati dal direct lending (73%) e dalla sottoscrizione di obbligazioni (23%). Guardando alle caratteristiche delle operazioni, dai dati emerge la presenza del principio di flessibilità, con schemi di rimborso bullet nel 54% dei casi, amortizing nel 40% e semi-bullet nel restante 6%.

Per le imprese familiari, l’apertura a queste forme di capitale rappresenta un passaggio culturale cruciale. L’atavica diffidenza verso la “perdita di controllo” sta mano a mano cedendo il passo a una logica di partnership industriale e strategica. Il fondo non è più percepito come mero investitore finanziario. Nei processi di passaggio generazionale o nei momenti di crescita dimensionale, il contributo di un partner di private equity o di un finanziatore di private debt può fare la differenza tra restare un’eccellenza locale o diventare un player nazionale e internazionale.

Non solo, sono innumerevoli i casi in cui l’ingresso di un fondo nel capitale o nella struttura di debito di un’impresa impone una maggiore trasparenza, affidabilità, piani industriali chiari e credibili, sistemi di controllo e reporting avanzati. È una spinta verso la modernizzazione organizzativa e la sostenibilità, elementi sempre più richiesti anche da clienti e stakeholder. Un esempio su tutti, che emerge negli ultimi anni, è l’attenzione ai criteri ESG. Tali processi stanno accelerando la trasformazione ambientale e digitale di molte PMI, spingendole a integrare indicatori di sostenibilità e innovazione nella loro strategia operativa.

I numeri registrati negli ultimi anni e i numerosi casi studio di successo mostrano che per gli imprenditori italiani la sfida non è più decidere se aprirsi a questi strumenti o meno, ma capire come e quando farlo, scegliendo partner capaci di condividere la visione di lungo periodo con cui poter lavorare in maniera collaborativa. Alysiance è già al lavoro in questa direzione, convinti come siamo che in un paese come il nostro – che ambisce a colmare il gap dimensionale e di efficienza rispetto ai grandi mercati internazionali – il capitale privato rappresenti oggi una delle leve più efficaci per accompagnare la transizione da impresa familiare a impresa di sistema.

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