di Alessandro Campo
“Delle circa 200.000 imprese organizzate che abbiamo in Italia – per intenderci, quelle con più di 10 addetti – meno di 500 sono quotate, 2200 sono partecipate dal private equity, 800 fanno ricorso al private debt. Per la stragrande maggioranza, pertanto, il livello di apertura del proprio capitale privato è ancora molto basso”. A parlare nell’ottobre 2024 è Innocenzo Cipolletta, presidente di AIFI, l’associazione che riunisce gli operatori di Private Equity, Venture Capital e Private Debt attivi in Italia. Ed il dato fa riflettere, tanto più che il mercato dei capitali rappresenti, da sempre, una risorsa essenziale per le imprese, a prescindere da settori di appartenenza e livelli dimensionali.
Lo scenario attuale, caratterizzato da pressioni inflazionistiche e da notevoli incertezze geopolitiche rischia di frenare lo sviluppo economico delle medie e piccole imprese, poiché sono proprio le PMI a mostrare maggiori difficoltà nell’accesso alle fonti di finanziamento soprattutto se si prendono in considerazione solo i canali di approvvigionamento tradizionali. Negli ultimi anni, l’accesso al credito ordinario è diventato in generale molto più impegnativo per le imprese. Bankitalia ha più volte rilevato che l’inasprimento dei criteri di offerta sui prestiti alle imprese associato ai numerosi eventi negativi accaduti di recente (la pandemia, i conflitti internazionali e i conseguenti rincari di energia elettrica, gas ed altre m.p. etc.) che hanno incrementato il livello di rischio di molti settori, hanno comportato un’ulteriore stretta da parte di banche e istituti creditizi. Le difficoltà di accesso al credito ordinario nascono anche dal fatto che – sia in virtù della normativa vigente a livello comunitario che per esigenze di maggiore trasparenza delle procedure di erogazione – tutto il sistema bancario ha innalzato il livello informativo da richiedere alle imprese, sia sul profilo quantitativo che qualitativo.
A tutto questo, si aggiunge un quadro macro-economico del tutto nuovo, pieno di rischi e opportunità: Gregorio De Felice (Chief Economist di Intesa San Paolo) lo dichiarò mesi fa in occasione della Finance Community Week a Milano: “Il post-Trump (le politiche sui combustibili fossili e le nuove politiche commerciali, etc.), oltre ad influenzare la politica monetaria delle Banche Centrali nel b/t (destando ottimismo presso la FED e incertezza in BEI) possono determinare una scossa per l’Europa affinché prenda importanti decisioni strategiche (incentivi a investimenti e consumi, più innovazione tecnologica e pragmatismo sugli obbiettivi di riduzione dei costi energetici) evitando – o allontanando il più possibile – il rischio di declino politico ed economico a favore di USA e Cina”.
Va detto che, almeno in Italia, si spera che ile lieve incremento dell’occupazione registrato a fine 2024 determini un incremento dei consumi per la seconda parte del 2025, e che il PNRR sostenga gli investimenti nonostante sia pesante, ad oggi, il ritardo accumulato sugli investimenti tipicamente pubblici.
Lato IPO, nel 2024 è aumentata la capitalizzazione complessiva di circa +€ 0,5 mld rispetto al 2023, anche in virtù del fatto che a fronte di 21 nuove società quotate soltanto 10 hanno lasciato l’Euronext Growth Milan. L’alto numero di nuovi ingressi rivela che, a dispetto di performance di periodo complessivamente negative, c’è una forte domanda di aziende italiane che desiderano sostenere la crescita aprendo la propria compagine sociale ad un mercato delle quotazioni particolarmente resiliente.
Lo scorso gennaio, Monica De Crescenzo del Sole 24 Ore riassunse le previsioni degli esperti in tema di capitali alternativi a sostegno delle imprese medio-grandi: “Il 2025 potrebbe segnare un punto di svolta, invertendo il trend negativo dei private equity che operano nel middle market e riportandolo a una crescita anno su anno della raccolta. L’attività di investimento in Europa sta già mostrando segnali di ripresa, con una crescita stimata tra il 25% e il 30% nell’anno appena concluso. «Se questa dinamica si rifletterà nella raccolta fondi del middle market, il capitale raccolto potrebbe tornare ai livelli del 2022, pur rimanendo al di sotto del record del 2021» si legge nel report Pitch-Book. A lungo termine, invece, le tendenze indicano una crescita continua degli asset under management dell’industria del private equity, grazie anche alle nuove tipologie di investitori che hanno iniziato a destinare parte dei loro capitali a questa asset class.
Nel frattempo, gennaio 2025 si è chiuso dando ottimi segnali, almeno per l’Italia: sono ben 33 i primi nuovi investimenti dell’anno effettuati dai fondi di Private Equity (erano 34 nel gennaio precedente).
Ma quali modalità di approccio dovremo aspettarci da parte degli investitori?
Sempre durante la Finance Community Week milanese, oltre a mostrare ottimismo per il 2025, Walter Ricciotti (Quadrivio Group) rivela “come le tecnologie e l’ampliamento del mercato degli operatori abbiano trasformato nel tempo lo strumento del private equity da illiquido e moderatamente liquido, con vantaggi considerevoli per imprese e fondi. Il settore oggi favorisce la trasparenza, sia nelle strategie che nelle motivazioni e negli obbiettivi degli interventi, comunicando di più rispetto al passato. Prevarrà sempre di più la componente industriale rispetto a quella finanziaria e sarà determinante avere nei team un buon tasso di diversificazione delle competenze”.
Da quanto emerge dal dibattito tra gli operatori sull’outlook 2025, sembra che – comunque vada – siano finiti i tempi in cui si pensava soltanto ad investire e guadagnare “comprando chip” per poi rivendere “alti”: oggi è importante concentrarsi sia sulla redditività che sul successo sostenibile, dando priorità alla valorizzazione del capitale umano. Per sviluppare una relazione proattiva con l’imprenditore è sempre più utile combinare insieme umiltà, approcci “soft”, rispetto per il background di competenze ed esperienze altrui, favorendo la continuità aziendale come fattore competitivo. La parola d’ordine è “managerializzare senza snaturare”. Gli investitori devono oggi approcciare i nuovi assets in modalità “olistica” e graduale, in quanto un fondo (sia che si tratti di private equity o di venture capital) è sempre e comunque un partner a tempo determinato che, nei confronti del management delle aziende target, deve porsi con una spiccata dote di flessibilità, sia prima che dopo il closing.
Da un’intervista rilasciata a Mondo Investor leggiamo Filippo Alberti di Andera Partners: “Anche nel 2025 gli investitori rivolgeranno la propria attenzione verso fondi small cap e lower-mind market buyout, con il segmento del private debt che dovrebbe crescere nelle infrastrutture. Va sottolineato che, storicamente, il mercato dei capitali privati è stato riservato a grandi investitori istituzionali (Compagnie Assicurative, Fondi Pensione, Fondi Sovrani, etc), tuttavia – grazie anche ai mutamenti normativi in atto – si è aperta di recente la strada a una maggiore “retailizzazione” del settore con la partecipazione di investitori anche di piccola dimensione”. Pertanto, ancor più liquidità che dovrà essere canalizzata nel modo più efficace e redditizio.
L’Italia in particolare potrebbe rappresentare una sorpresa in positivo: continua a registrarsi interesse per il made in Italy, per tecnologie e innovazione (a dispetto dei limiti dimensionali di settore), anche importando le best practice di mercati più evoluti (USA e Nord Europa) e aggregando realtà aziendali dal forte potenziale per far fronte ai rischi competitivi. Ecco perché c’è crescente interesse verso aziende dinamiche, guidate da imprenditori che comprendono meglio l’importanza di aggregare per crescere rapidamente, per creare valore puntando in primo luogo sul fattore umano: bisogna sapere “cosa fare” ma anche “trovare le persone giuste” per fare. Ciò potrebbe poi avere un effetto estensivo su tutto il reparto infrastrutturale: dal singolo progetto molti investitori sono passati a valutare anche le corporate che investono in infrastrutture a sostegno di crescita e sostenibilità. Ciò per due ragioni: l’attuale scarsità di progetti rispetto alla liquidità disponibile in dote ai fondi tipicamente infrastrutturali e il recente incremento dei tassi di interesse che ha orientato i board verso alternative di investimento più remunerative.
Il report di EY sul 2024 riguardo al Venture Capital pone le basi per l’ottimismo anche per il prossimo futuro: in Italia è stata superata la soglia del miliardo di capitali raccolti (+7,5% rispetto al 2023), in un contesto europeo che vede un rallentamento degli investimenti in start-up e scale-up. I primi cinque settori per valore degli investimenti sono: Health & Life Science, Software & Digital Services, Technology & IoT, Fintech, Energy & Recycling. A livello macroregionale il Nord Italia si conferma leader, con €857m investiti trainati dalle performance di Lombardia e Piemonte, seguito dal Centro Italia (€227m) con Toscana e Lazio, e dal Sud (€43m) con Abruzzo e Puglia. La Lombardia, ancora una volta, risulta il terreno più fertile e promettente per le start-up italiane, sia per numero di operazioni (111) sia per capitali raccolti dalle proprie imprese (62,1% del totale).
Interessante anche lo spunto offerto dalla rivista scientifica Innovation In Live Science che chiede a tre senior venture capitalist (Pietro Puglisi di Claris Ventures, Lucia Faccio di Sofinnova Telethon e Barbara Castellano di Panakès Partners) i settori in cui maggiormente potrà concentrarsi l’interesse degli investitori, pochi dubbi a riguardo: biotech e medicina preventiva (tecnologie genetiche, terapie oncologiche e cardiovascolari, A.I. applicata alla diagnostica) medicina di precisione, medical device terapeutici, etc.
E cosa accade sul fronte del capitale di debito alternativo al debito bancario? Dopo un 2024 in chiaro-scuro, il Private Debt italiano sta già dando risposte in positivo, convincendo gli operatori in merito ad un lieve cambiamento di traiettoria in direzione della finanza a sostegno di corporate rappresentative di progetti infrastrutturali (meglio ancora se basati su principi di sostenibilità e impatti benefici su territori e comunità) e di una maggiore flessibilità degli strumenti offerti con particolare focus sul c.d. capitale ibrido ovverosia di tutto ciò che coniuga l’intervento di debito con la messa a disposizione di equity nelle varie declinazioni possibili.
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